
Saper vedere
Saper vedere è uno spazio che raccoglie immagini e brevi riflessioni su qualcosa che ci si è rivelato, che abbiamo scoperto, che ci ha sorpreso, nei nostri percorsi, abituali come di viaggio.
L’importanza del turismo delle radici – una forma di viaggio legata alla riscoperta dei luoghi d’origine familiari e all’esigenza di riscoprire o tenere saldo il radicamento alle radici geografiche e culturali – emerge dal report dell’Università Cattolica “Appartenenze multiple. Il fenomeno migratorio in Emilia-Romagna e il turismo delle radici”, a cura di Silvia Magistrali, Davide Marchettini e Paolo Rizzi, che accende i riflettori su un fenomeno spesso sottovalutato ma di grande valore culturale ed economico: quello dei discendenti degli emigrati che ritornano nei luoghi d’origine dei loro avi.
Secondo il documento, presentato all’auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano durante il convegno “Emigrazione e turismo delle radici”, ogni anno le valli piacentine (Val Nure, Val Trebbia, Valdarda) accolgono centinaia di turisti “di ritorno”, in prevalenza figli e nipoti di emigrati. Questi visitatori non sono turisti occasionali: si fermano in media 19 giorni, spendono circa 2.000 euro a testa e tornano con frequenza, spesso tre o quattro volte, talvolta anche di più. Il risultato? Un indotto stimato in circa 4,5 milioni di euro all’anno, che si riversa direttamente nel territorio piacentino, e in 5 miliardi per l'Italia.
Non è solo una questione economica. Come sottolinea il professor Paolo Rizzi, coordinatore del report e membro del Tavolo Cattolicaper il Turismo, si tratta di un “turismo delle emozioni”: chi torna lo fa per ritrovare le proprie radici culturali, per conoscere le case, le strade, i sapori che hanno fatto parte della vita dei nonni o dei genitori. È un ponte tra passato e presente, tra Italia e mondo, che assume anche una dimensione affettiva e identitaria.
Molti di questi visitatori vivono all’estero, sono spesso ben inseriti nel tessuto socio-economico dei Paesi ospitanti, e si considerano “doppi cittadini”: italiani nel cuore, ma con uno sguardo globale. Cantano due inni, parlano due lingue, mescolano culture. Amano il paesaggio italiano, la cucina, la convivialità, anche se continuano a preferire il loro Paese d’adozione per le opportunità professionali.
In questa ottica, il turismo di ritorno diventa anche una risorsa strategica per la valorizzazione del patrimonio locale. Durante il convegno, ad esempio, sono stati presentati progetti come “La pasta in valigia” e “La cucina delle radici”, che collegano l’esperienza migratoria con la tradizione gastronomica piacentina. Iniziative capaci di rafforzare l’identità locale e trasmetterla a nuove generazioni, anche a migliaia di chilometri di distanza.
Mentre il fenomeno migratorio contemporaneo continua a riguardare sempre più anche le regioni ricche del Nord, come l’Emilia-Romagna, il turismo delle radici offre un’occasione preziosa per rinnovare il legame con chi è partito. Non solo per ricordare, ma per costruire nuove relazioni e nuove opportunità economiche.
Piacenza, con la sua rete di associazioni come Piacentini nel mondo e con il supporto delle istituzioni accademiche, sembra aver colto il valore di questo flusso di ritorno: un flusso che non guarda solo indietro, ma che può diventare un ponte per il futuro.
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