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La dimensione economica

Un trend senza fine: produzione di plastiche
A partire dagli anni 50’, la produzione mondiale di plastiche ha avuto una crescita straordinaria. Se i trend proseguiranno, la produzione mondiale salirà dai quasi 500 milioni di tonnellate attuali ad oltre 1,2 miliardi di tonnellate nel 2060. La produzione di plastiche primarie (vergini) genera nel mondo circa 400 miliardi di fatturato e 1,2 milioni di posti d lavoro (Oxford Economics). I vantaggi funzionali ed economici delle plastiche (durata, basso costo, flessibilità d’uso, leggerezza) sono alla base della loro grande crescita ma anche dei grandi problemi ambientali nella gestione di grandi quantità di materiali divenuti rifiuti dopo l’uso. Nel 2022, nel mondo si generavano quasi 380 milioni di rifiuti plastici, dei quali solo 38 milioni di tonnellate venivano riciclati (10%).

Cerchi che non si chiudono: riciclo e riuso mancante
La discarica è ancora la forma prevalente di gestione dei rifiuti plastici su scala globale, e le proiezioni indicano che lo sarà anche in futuro in assenza di forti azioni. Una quantità crescente viene destinata al riciclo materiale, tanto che la produzione di plastiche riciclate è cresciuta del 19% nel 2018-2022, rispetto al +9% della produzione totale di plastiche (Oxford Economics). Una grande quantità viene poi destinata agli inceneritori, generalmente con recupero di energia, soluzione ambientalmente inferiore al riciclo ma tecnicamente ed economicamente vantaggiosa. Il problema chiave dei rifiuti plastici rimane il ‘mismanagement’, ossia la ‘non gestione’ o la gestione impropia (combustione all’aria aperta, scarico in mare e nei fiumi, discarica non controllata), che rappresenta a scala globale una quota del 22%, più grande dell’incenerimento (19%) e del riciclo (9%). Si tratta di 23 milioni di tonnellate dispese nell’ambiente (stime OECD, 2022). Di conseguenza, i rifiuti che più frequentemente si trovano dispersi negli ecosistemi acquatici, compresi quelli in acque profonde, sono bottiglie e borse di plastica.

L’area con la maggior quota di mismanagement è l’Asia (34%) mente la quota è bassa sia negli Stati Uniti (4%) che in Europa (6%).Ma il basso mismanagement negli Stati Uniti e in Europa dipende anche dai grandi flussi di esportazione di rifiuti plastici che questi paesi hanno attivato fino agli ultimi anni, in particolare verso l’Asia. In questo modo, il mismanagement in certe aree, come l’Asia, dipende anche dal grande carico di rifiuti che hanno ricevuto da atre aree del mondo per molti anni.  

Perduti per le strade le mondo: commercio di rifiuti plastici
La grande produzione di rifiuti plastici con limitate capacità interne di gestione o alti costi di riciclo e recupero, ha portato, dagli anni 90’, ad una forte crescita dei flussi internazionali di rifiuti plastici. Al picco di tale crescita, sia gli Stati Uniti che la EU27 avevano esportazioni nette di quasi 6kg di rifiuti plastici pro-capite. Gran parte era destinata alla Cina, che importava, nel momento di massimo, oltre 6 kg pro-capite. Nel 2018, la Cina ha chiuso le frontiere a rifiuti plastici degli altri paesi, e i grandi esportatori hanno dovuto deviare i loro flussi verso altri paesi a basso reddito, oppure ridurre le esportazioni trovando altre modalità di gestione. Negli ultimi anni, sia gli USA che la EU27, sono divenuti importatori netti di rifiuti plastici, anche per alimentare, soprattutto in Europa, gli impianti di termovalorizzazione a cui vengono a mancare atri input di materiali a causa dello sviluppo generale del riciclo. Milioni di tonnellate di platica non gestita sono ancora in giro per il mondo.

Economia dell’inutile: eccesso di packaging plastico
Gli imballaggi sono il settore di maggior uso delle plastiche in complesso, con oltre il 30% in volume su scala globale e il 40% in Europa. L’eccesso di materiali nel confezionamento, comprese le plastiche, è un fenomeno di esperienza quotidiana che ha scarsa giustificazione funzionale ed economica, crea costi ai consumatori, è prepara un eccesso di rifiuti plastici post-consumo. In Europa, nell’ambito del Piano di Azione per l’Economia Circolare (2020), è entrato in vigore nel febbraio 2025 il nuovo regolamento 2025/40 che vuole contrastare anche l’overpackaging. Include obiettivi di riduzione degli imballaggi del 5% entro il 2030 e fino 15% entro il 2040 e misure specifiche per ridurre i rifiuti di imballaggio in plastica. Dal 2030, alcuni tipi di imballaggi saranno vietati (ad esempio quelli per frutta e verdura fresche, cibi e bevande nei ristoranti, monoporzioni e borse di plastica ultraleggere in plastica monouso). Vi saranno limitazioni sulla proporzione massima di spazio vuoto negli imballaggi (50% per gli imballaggi multipli e per il commercio elettronico). Entro il 2030, i distributori di bevande e alimenti da asporto dovranno offrire ai consumatori la possibilità di utilizzare contenitori riutilizzabili e garantire che almeno il 10% dei loro prodotti siano venduti in imballaggi riutilizzabili. Tutti gli imballaggi dovranno essere riciclabili, con obiettivi minimi di contenuto riciclato per gli imballaggi di plastica. Vi sarà inoltre l’obbligo di raccogliere separatamente il 90% dei contenitori in metallo e plastica monouso per bevande fino a tre litri entro il 2029.

La plastica conviene?
La plastica conviene quando si riescono a sfruttare i suoi vantaggi funzionali (ad esempio la leggerezza, buona per energia e CO2) ed economici (bassi costi di produzione per unità di funzione) minimizzando i suoi impatti ambientali nella produzione, nell’uso e nella fase post-consumo, soprattutto quando questa si risolve in forme di mismanagement. La grande importanza economica del settore plastiche continua ad essere una barriera per attuare drastiche politiche di riduzione degli impatti ambientali, specie se comportano l’imposizione di un limite alla produzione (Oxford Economics). Le politiche operano quindi su più fronti. In Europa, ad esempio, la direttiva sulle plastiche monouso (2019), che sono soggette a grande dispersione nell’ambiente, aveva già bandito alcuni prodotti plastici e aveva introdotto, insieme al Piano di Azione per l’Economia Circolare (2020), una applicazione più estesa del principio di ‘Responsabilità del Produttore’, chiamato a farsi carico della gestione dei rifiuti post-consumo verso il riciclo e l’uso di plastiche riciclate nei nuovi prodotti (ad esempio borse per la spesa). Studi recenti quantificano il possibile impatto economico del quasi azzeramento del mismanagement, comprese misure di riduzione della produzione di plastiche. Tali politiche avrebbero un costo economico diretto stimato di cerca 0,6% del PIL mondiale, ma risparmierebbero grandi costi ecologici che possono essere anch’essi monetizzati. Secondo stime recenti, soggette comunque ad incertezze nei dati (Cordier et al. 2024), il costo della non-azione (cost of inaction), vale a dire il trend attuale proiettato in futuro senza interventi, sarebbe tra circa 14 e circa 282 trilioni (migliaia di miliardi) di euro tra il 2016 e il 2040, mentre il costo delle politiche di azzeramento dell’inquinamento da plastiche (compresa una forte riduzione della produzione) sarebbe tra circa 18 e 159 trilioni di euro nello stesso periodo. Se nella stima minima ci sarebbe una perdita economica (4 trilioni/€), in quella massima ci sarebbe un grande guadagno economico globale (123 trilioni/€).

In the figure - Comparison of global total cost of action (left bars) and inaction (right bars) over 2016–2040. Note: The graph is based on data from Table 1. The lower estimates suggest the cost of inaction (US$ 13,711 billion) is slightly cheaper than the one of action (US$ 18,318 billion). However, given the costs and benefits calculated and the missing data (discussed in Section “Discussion and conclusion”), it is not clear that the total cost of action is substantially higher than the one of inaction. Given the incomplete nature of this analysis, it is possible that the total cost of inaction is substantially higher as suggested by the high estimate (inaction cost: US$ 281,802 billion, which is significantly more expensive than action cost: US$ 158,418 billion).

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