
I Real Refugees scendono in campo
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Filippo Tortu è nella leggenda. Con il tempo di 9.99, a Madrid batte il record di Pietro Mennea (dicesi Mennea) e diventa il primo italiano a scendere sotto i 10'' nei 100, il terzo europeo bianco ad abbattere questo muro nella gara più veloce dopo Lemaitre e Guliyev.
Un’impresa storica, capace di disintegrare un record che resisteva da ben 39 anni. Filippo, 20 anni appena compiuti, nato a Milano ma cresciuto a Carate Brianza, mantiene il giusto timore reverenziale nei confronti del mito Mennea, che «resta il più grande atleta italiano di tutti i tempi, senza discussioni». Ma Tortu è sicuramente più simile a Livio Berruti, «la figura alla quale mi sento più legato, una bellissima persona», come ha raccontato al Corriere della Sera. E lo stesso Livio conferma: «In lui ho rivisto me stesso».
In modo semplice e genuino - prima di ottenere la consacrazione dei risultati sulla pista di Madrid - Filippo ha raccontato tutto di sé al centro accademico sportivo Rino Fenaroli, dove si è tenuto il convegno nazionale "Alla ricerca di giovani talenti, la sfida dell'allenamento".
Accanto a lui, l’inseparabile papà-allenatore Salvino Tortu, tecnico nazionale Fidal ed ex velocista, e Stefano Baldini, medaglia d’oro nella maratona alle olimpiadi di Atene 2004 e c.t. della squadra nazionale giovanile di atletica leggera (nella foto, Filippo Tortu insieme al c.t. Baldini e ai docenti Paola Vago e Francesco Casolo).
I giovani talenti - cui fa riferimento il titolo del convegno - sono proprio Tortu, campione europeo juniores nei 100 metri e prossimo agli Europei di Berlino, e Gaia Rizzi, vincitrice ad Ancona, ai campionati assoluti paralimpici italiani, nei 60m e 200m. Sono giovanissimi, sì, ma le loro parole lasciano percepire la maturità delle conquiste sudate.
Filippo (nella foto subito pubblicata su Instagram, dove i suoi follower sono già lievitati fino a sfiorare i 40.000) ha la consapevolezza di avere ancora tanto da imparare, migliorandosi ed assorbendo come una spugna, sfruttando le trasferte per spiare i più esperti e capire cosa ancora gli manca. Entrare a fare parte di un team, quello creato dal padre che si occupa della sua preparazione tecnica, gli permette di pensare solo a correre, «trasmettendo tranquillità assoluta ma, al tempo stesso, sentendo le responsabilità farsi più grandi». Tortu racconta di avere una sorta di interruttore che gli consente, a volte, di avere la testa fra le nuvole e riprendere la concentrazione solo dieci minuti prima della gara.
La sua vita non è solo un mix di impegni e sacrifici: «Tornando a casa non ripenso alle gare o ai risultati ma a quanto è bello stare assieme ai compagni la sera prima della competizione. Penso alla partita a carte con i fisioterapisti o al kebab dopo la vittoria».
Un’esperienza di condivisione «quasi più forte della stessa gara». Intensa proprio come il racconto di Gaia Rizzi, protagonista di un mondo, quello dello sport paralimpico, che emerge sempre più, mostrando come le prestazioni di livello non siano esclusiva degli atleti normodotati.
«Gaia - racconta il padre, lasciando intravedere l’intensità delle emozioni - ha perso la vista a 15 anni e grazie all’atletica ha fatto grandi passi avanti. Quello dell’atletica paralimpica è un mondo che dà grandi soddisfazioni e nel quale dovrebbe esserci più partecipazione. Soprattutto da parte dei giovani».
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