
I Real Refugees scendono in campo
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Il sorriso che non l’abbandona mai, un abito a fiori, i capelli sciolti sulla giacca blu e la catenella con i cinque cerchi, monile che ama portare chi le Olimpiadi le ha cucite dentro. Elisabetta Preziosa è tra questi, e il suo sorriso accompagna gli occhi che brillano quando parla dell’Olimpiade. L’edizione a cui si riferisce è quella londinese del 2012, il punto più alto di una carriera fatta di successi e di sconfitte, di gioie e di sacrifici che l’hanno portata fino alla realizzazione del sogno.
«È successo tutto in un lampo: prepari la tua gara per 20 anni, e poi ti trovi lì. E in 30 secondi devi dare tutto quello che hai. Per me, emotivamente, è stata molto complicata da affrontare». Di gare, Elisabetta ne ha disputate tante. «La mia vittoria più significativa è stata sicuramente la medaglia di bronzo agli Europei, nel 2011, a Berlino. Mi è rimasta nel cuore perché sul podio siamo salite io e Carlotta Ferlito, la mia compagna di squadra. Era la prima volta che due ginnaste conquistavano il podio utilizzando un attrezzo come la trave, che è molto difficile e complesso. Soprattutto in gara».
Non una cosa semplice, come per nulla facile è stato uscire dal mondo delle competizioni, da atleta, e crearsi una nuova vita. Elisabetta, che oggi ha 24 anni, ha scelto l’Università Cattolica «per completarmi come ginnasta e come tecnico. Ho cominciato a frequentare l’Università grazie ad un mio allenatore, Giorgio Colombo. È stato lui a spingermi ad intraprendere il corso di studi in Scienze Motorie e dello sport e anche per questo gli sono molto grata».
La scuola, gli allenamenti, i tanti sacrifici. Per Elisabetta come per tantissimi altri altleti, ognuno con la propria storia. La sua, ce la racconta ancora una volta con il sorriso: «Poche persone fanno le Olimpiadi, tante studiano. Eppure a me studiare risultava più difficile, anche perché spesso la scuola non aiuta chi fa sport. Già da piccola, gli allenamenti mi impegnavano tre ore al giorno, venti ore alla settimana. Frequentavo la scuola a Saronno e mi allenavo a Lissone. Per farlo, dovevo uscire dalla mia classe un quarto d’ora prima, ogni giorno. Poterlo fare non è stato semplice, e alcuni insegnanti non l’hanno presa benissimo».
Poi, l’esperienza universitaria. Una vera sorpresa per Elisabetta, perchè grazie all’Università ha scoperto abitudini e meccanismi che sembrerebbero normali a qualsiasi altro studente, ma paiono del tutto nuovi a un’olimpionica che ha trascorso più tempo in palestra che a casa. «Sono sempre stata abituata a frequentare la scuola da privatista, a causa dei miei allenamenti: avevo una sola compagna di corso. Entrata in Università, ho fatto un sacco di amicizie che prima non potevo permettermi di fare, perché ogni istante della mia giornata lo trascorrevo in palestra».
Chi le è stato e le sta vicino, non manca mai. Sua sorella Sara, il fidanzato Bane, i suoi allenatori di sempre, Paolo Bucci e Tiziana Di Pilato «che hanno trascorso più tempo con me che con i loro figli». Ma la sua nuova vita, in Cattolica, è stata prima di tutto un tuffo nella normalità. «Come persona, mi ha permesso e aiutato a credere in me stessa, ed è nata in me la voglia di studiare e di apprendere sempre di più. Frequentare l’Università e potermi laureare sono stati come una seconda Olimpiade. Fare parte di questa grande famiglia è stato un grande onore. Ho imparato che anche in aula, tutto parte dalla passione. Proprio come in palestra».
Elisabetta ha vissuto questa seconda vita come una grande opportunità, partecipando attivamente anche ad alcuni progetti di Cattolicaper lo sport. Proprio come un’occasione speciale è stata la partecipazione a “Ginnaste - Vite parallele”, il docu-reality di MTV che ha raccontato la vita di sette adolescenti ginnaste che vivevano, studiavano e si allenavano nel Centro tecnico federale di ginnastica artistica di Milano, per prepararsi ai Mondiali di Tokyo 2011 e alle Olimpiadi di Londra 2012.
«È stata una grandissima opportunità per noi ginnaste, perché ci ha dato molta visibilità e ha fatto sì che il resto del mondo potesse conoscere questo sport. Una disciplina che molti ritengono minore, ma che richiede allenamenti di ore e ore ed enormi sacrifici. Quel programma ha mostrato al grande pubblico l’Elisabetta che non tutti conoscevano, e ha messo in luce quella che era la mia vita».
Una vita fatta di sacrifici, ma anche di grandi soddisfazioni. Come indossare un altro abito a fiori, ma sempre con lo stesso sorriso. Con una corona d'alloro in testa e la tesi di laurea tra le mani. E continuare a mostrare con orgoglio quella collanina con i cinque cerchi. Ancora oggi, in Università Cattolica.
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Credits: Foto Pandini, Foto Daniele Mora.
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