Università Cattolica del Sacro Cuore
Welfare in piattaforma
 
Trasformazione digitale e cambiamento organizzativo. Apprendimento dai progetti Welfare in azione.
Report TRAILab - Università Cattolica del Sacro Cuore. A cura di Ivana Pais (Prof.ssa di Sociologia economica dell'Università Cattolica e membro della faculty di Cattolicaper il Terzo Settore) e Flavio Zandonai. Con i contributi di Davide Arcidiacono, Marta Mainieri, Enrico Orizio.

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"Le piattaforme digitali sono ovunque: se cerco un alloggio posso andare su Airbnb, per un passaggio in auto su Blablacar, per avere del cibo a domicilio posso usare Deliveroo. Che cosa succede se invece ho bisogno di una badante? All’estero si stanno diffondendo piattaforme anche per i servizi di welfare. Un esempio è Care.com, fondata nel 2006 è attiva in 20 Paesi e offre un servizio di incontro tra domanda e offerta in quattro aree di assistenza: l’infanzia, la rete famigliare e amicale, gli animali e la casa. Nel 2018 è stato utilizzato da 17,7 milioni di famiglie e 13,1 milioni di caregivers. La piattaforma adotta logiche di puro mercato, spesso coerenti con il modello di welfare dei Paesi in cui è attiva. Può essere un modello di riferimento anche per l’Italia?

Abbiamo analizzato cinque piattaforme di welfare promosse attraverso i bandi Welfare in azione di Fondazione Cariplo in Lombardia e la risposta è no. La digitalizzazione potrebbe favorire processi di trasformazione dei servizi di welfare tradizionale ma il riferimento non può essere la piattaforma di mercato. Abbiamo individuato un modello ideale che abbiamo definito “quasi-piattaforma”: termine che non rimanda a una loro incompiutezza ma al fatto che presentano caratteristiche peculiari, dal momento che operano in quasi-mercati.

Una quasi-piattaforma di welfare è parte di organizzazioni e di reti ampie, che travalicano i confini organizzativi chiusi delle piattaforme ma anche la governance di tipo verticale dei sistemi di welfare locale. Le quasi-piattaforme sono parte di processi di trasformazione organizzativa, generalmente non nascono come start-up. Nelle quasi-piattaforme le economie di scala (scaling wide) sono sostituite da logiche di radicamento (scaling deep): gli investimenti iniziali sono di valore piuttosto limitato e sono sostenuti prevalentemente da investimenti filantropici, non è necessario ricorrere a capitale di rischio. Se le piattaforme di mercato traggono parte dei loro ricavi dalla vendita dei dati, nelle quasi-piattaforme i dati sono valorizzati come beni comuni, utili all’individuazione di nuovi rischi sociali e nuovi bisogni di servizi. Il sistema di accreditamento degli operatori e la protezione della privacy degli utenti portano verso modelli più chiusi e anonimi rispetto alla completa apertura e visibilità degli utenti delle piattaforme. Anche l’incontro tra domanda e offerta e la divisione del lavoro non sono lasciate alla negoziazione diretta tra le parti ma interviene una forma di mediazione da parte delle organizzazioni che veicolano il servizio. Una specificità delle quasi-piattaforme è l’investimento in formazione per avvicinare e far interagire le parti, con l’obiettivo di coltivare una comunità di utenti ibrida online/offline.

La quasi-piattaforma non agisce solo come elemento “riformatore” del sistema di welfare classico, ma cerca di intercettare bisogni e risorse che per ragioni diverse sfuggono all’assetto attuale, pur mantenendo una specificità rispetto alle logiche di mercato adottate dalle piattaforme più affermate. Questo inedito modello non è ancora stabile ma è già sottoposto a tensioni legate alle strategie di crescita. Da una parte, gli utenti finali stanno diventando sempre più “consumatori consapevoli” rispetto alla qualità attesa dei servizi e sono sempre più orientati a costruirsi un welfare su misura. D’altro canto i finanziatori del welfare, la Pubblica Amministrazione in primis, sono sempre più pressati a dilatare l’offerta pur a fronte di risorse stabili o decrescenti e quindi cercano di generare un effetto leva tra i loro apporti e quelli dei beneficiari, chiamati sempre più a cofinanzare l’erogazione. E i fornitori, in particolare del terzo settore e dell’impresa sociale? Per loro sembra maturo il tempo di un nuovo cambiamento organizzativo basato essenzialmente su ridisegno della propria offerta per sfruttare le potenzialità di questa nuova interfaccia del welfare. Una trasformazione che chiama in causa la progettazione dei servizi ma anche la governance del sistema: meglio annidarsi in piattaforme esistenti (come nel caso del welfare aziendale) oppure crearne di alternative che siano “a propria immagine e somiglianza”? Il tempo della scelta, e dei conseguenti investimenti, è ormai alle porte."

Prof.ssa Ivana Pais, Cattolica per il Terzo Settore

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