Università Cattolica del Sacro Cuore

Di Nicola Crippa (Università Cattolica - Milano)

 

1. Narrazioni pandemiche

Sono trascorsi più di due anni da quando il mondo della serialità è stato scosso da uno dei più inaspettati degli sconvolgimenti: la crisi causata dal virus SARS-CoV2. Le serie tv italiane ed europee, in particolar modo quelle dei canali o piattaforme pay, provenivano da un decennio di trasformazioni produttive, distributive e creative, incentrato, tra le tante cose, sulla diffusione degli streamer SVOD e sull’esplorazione all’interno delle storie di nuove tematiche critiche.

Un vero e proprio “evento ininterrotto”, ha provocato una ristrutturazione, nel breve-medio termine, di alcune prassi consolidate all’interno della filiera e costretto i professionisti del settore a interrogarsi su nuove possibili strategie. Quando il virus imperversava nel nostro Paese, news e intrattenimento unscripted hanno dominato la scena televisiva, mentre tra gli sceneggiatori e i produttori delle fiction sempre più pressanti si facevano le domande circa la convenienza di integrare il Covid nelle narrazioni.

Le audience italiane, una volta terminata l’emergenza (o anche nel corso della stessa), avrebbero continuato a scegliere prodotti di pura evasione oppure si sarebbe generata una domanda per narrazioni a diretto contatto con la realtà sociale? In tal caso, come si sarebbero dovute gestire le dinamiche pandemiche nelle nuove produzioni scripted o nelle ultime stagioni di contenuti già in onda?

In sintesi, quando la distopia sembra esistere fuori dagli schermi, la fiction come si deve comportare?

 

2. Cosa raccontare in tempo di Covid?

Come testimoniato da un corpus di interviste, nello scenario televisivo nazionale delle stagioni 2020 e 2021 – sia per questioni di tempistiche produttive sia per una certa prudenza nei confronti della novità – di titoli con virus in sceneggiatura non se ne sono quasi visti. Partendo delle parole degli sceneggiatori, è stato possibile identificare ben tre orientamenti distinti sull’opportunità di parlare di pandemia. Se quello di rifiuto o di “attesa” appare scontato, ben più interessante è stato l’emergere– in un numero minore di interventi – di un atteggiamento più moderato o “contestualizzatore” (secondo il quale il Covid può essere integrato nelle storie, ma solo a patto che si rispettino certi canoni di genere) e di uno di vera e propria apertura al racconto del presente. 

È comunque possibile, con qualche approssimazione, isolare quattro generi che si avvicinano al concetto di “crisi”: la distopia, la post-apocalisse, il drama medico e quello incentrato su complotti e cospirazioni politiche. La paura, l’inquietudine e lo smarrimento sembrerebbero essere le costanti, oltre che dello storytelling mediatico sul Covid, anche delle narrazioni più spesso ricollegate dalla critica e dalla letteratura ai momenti traumatici vissuti del Nuovo Millennio.

Tali generi possono rappresentare modelli narrativi utili anche per il racconto della crisi del Covid?

 

3. Distopia, post-apocalittico, medical drama e drama politici

Da un punto di vista quantitativo, si può provare a comparare la distribuzione negli anni di nuove serie avvalendosi del tool di ricerca di IMDb. I risultati sono stati organizzati in un grafico, per verificare possibili oscillazioni in prossimità di eventi di importanza collettiva (almeno negli USA).

Il genere post-apocalittico esplode all’inizio dell’era Obama, nel 2008, e cresce ulteriormente nel biennio 2013-2014 e nel 2016 (anno dell’insediamento di Trump). La distopia, invece, comincia il suo percorso di crescita un po’ più in ritardo (2011) e raggiunge output produttivi simili a quelli post-apocalittici nell’era Trump. La media di titoli dal 1999 fino al 2021 è di 5,3 nuovi titoli all’anno per il genere post-apocalittico e 3,3 per quello distopico. La media annuale di nuovi titoli dal 2010 al 2020 è stata, invece, di ben 7,2 per quanto riguarda il post-apocalittico e 4,8 per il distopico. I medical sembrano essere più “insensibili” alle crisi, mentre il tag “Conspiracy” cresce in modo sostenuto a partire dal 2007 e successivamente dal 2014, per poi subire un declino a partire dal 2019. 

Una risposta più focalizzata sul presente, la può fornire però solo il confronto con la stagione televisiva statunitense del 2020-2021, che ha scommesso discretamente sull’elemento semantico del virus.

Si riscontra una certa prevalenza, nell’alveo della trattazione “realistica” della crisi, del procedurale, del crime e del medical, mentre la distopia e il post-apocalittico sembrano continuare il proprio percorso di crescita senza legarsi al Coronavirus.

 

4. Una sentiment analysis di alcuni casi americani

Un gruppo più ristretto di serie televisive americane (sia con al centro il Coronavirus sia con epidemie diverse) è poi stato ricavato prendendo in considerazione il numero di ricerche su Google effettuate dalle audience online italiane.

Un’indagine qualitativa sulla sinossi, la storia produttiva e distributiva e la ricezione di critica e pubblico dei quattro casi ritenuti più significativi (Grey’s Anatomy, Shameless, The Stand e Sweet Tooth) è stata seguita da un’analisi del sentiment dei tweet in lingua italiana relativi a queste serie televisive durante i periodi di messa in onda o caricamento online. In questo caso, la prima evidenza ha riguardato la bassissima percentuale (in media l’1,39%) di tweet contenenti keyword associate alla pandemia nei campioni oggetto della raccolta. Un numero che, se letto insieme ai risultati delle indagini su Google Trends, nelle quali non compare alcuna ricerca dei titoli associata al virus, testimonia come il Covid non sia stata percepito come un elemento rilevante di queste narrazioni. In nessun caso, poi – rapportando i tweet totali con i sotto-campioni relativi al Covid – il virus si è associato a un aumento di emozioni positive nei testi.

La sentiment analysis è poi stata integrata con i commenti sul tema provenienti da un gruppo Facebook e da alcuni articoli online, per tirare le fila sull’importanza, per gli utenti, del virus in sceneggiatura. È stato così possibile verificare come esista già un caso domestico in grado di raccontare efficacemente una epidemia. Anna, miniserie Sky firmata Niccolò Ammaniti, è parsa essere il punto di contatto più evidente tra il Renaissance model europeo anteriore alla crisi e i nuovi racconti pandemic-based. Una ulteriore sentiment analysis dei commenti relativi al titolo distopico italiano ha dimostrato come quest’ultimo sia riuscito ad attutire piuttosto bene l’impatto scaturito dall’associazione tra epidemia “dentro” e “fuori” dallo schermo.

 

5. Quale futuro?

Il Covid nelle serie televisive, differentemente da quanto emerge in parte del discorso critico e accademico, sembra essere, oltre che un motivo non in grado di tenere insieme titoli troppo diversi, un oggetto di interesse ancora limitato presso le audience del nostro Paese. Anche nella fascia di commentatori che si avventura in associazioni e comparazioni tra fiction e crisi sanitaria le valutazioni dei prodotti sono molto altalenanti, sfociando spesso in considerazioni negative.

Il fatto che finora, per una buona fetta del pubblico italiano, la tematica pandemica non abbia rappresentato né un driver di ricerca di nuovi titoli né un motivo del tutto valido per apprezzare a pieno le “stagioni-Covid” non significa che il Covid sia o debba rimanere un tabù, soprattutto nella produzione degli anni a venire. Molto dipenderà anche dall’andamento dei contagi nel tempo: l’epidemia potrebbe avere una fine e, come ogni evento, innescare una dinamica di rielaborazione narrativa o diventare il new normal e permanere come caratteristica ambientale senza alcuno impatto sulla narrazione.

Tali valutazioni aprono le porte a una serie di nuovi interrogativi sulle tipologie di pubblici che potrebbero rispondere meglio ai racconti pandemici e sull’impatto che l’inserimento della SARS-CoV2 potrà avere nella circolazione internazionale di un titolo.

È probabile che si dovrà ancora attendere prima di vedere serie televisive distopiche incentrate sul Covid che saranno apprezzate come 24 e Homeland in relazione al terrorismo e all’Undici Settembre. A quel punto, dato che la serialità è anche catarsi e non solo evasione, quanto potranno contribuire queste serie televisive a immunizzarci dalla paura di affrontare un mondo che, verosimilmente, andrà incontro a molteplici altre crisi?

 

Bibliografia

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