Università Cattolica del Sacro Cuore

Di Gaia Galli (Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano)

 

1. La strategia transmediale di The Last of Us

In un panorama in cui le trasposizioni televisive di videogiochi spesso deludono le aspettative degli spettatori, la serie TV The Last of Us emerge come un’eccezione, riuscendo finalmente a superare un ostacolo che persisteva nel mondo degli adattamenti da almeno vent’anni. La strategia transmediale di The Last of Us, dalla sua incarnazione come videogioco nel 2013 fino alla sua trasformazione in una serie TV dieci anni dopo, è stata progettata con l’obiettivo di massimizzare l’espansione dell’universo narrativo e coinvolgere al meglio la sua fanbase. La serie televisiva si propone di esplorare più approfonditamente la trama, i personaggi e gli aspetti narrativi che il videogioco non poteva esaurire completamente. Questa transizione da un medium interattivo come i videogiochi a un formato passivo come la televisione permette di sfruttare al meglio l’interesse già esistente verso il franchise, raggiungendo nuovi pubblici e offrendo una nuova prospettiva sulla storia. In tal senso, la collaborazione tra il direttore creativo del videogioco Neil Druckmann e lo showrunner Craig Mazin, figura di spicco nel settore televisivo, rappresenta un connubio perfetto tra due mondi creativi distinti, portando ad un prodotto finale che unisce abilmente elementi unici da entrambe le industrie. La loro sinergia si è rivelata essenziale nel plasmare una strategia transmediale efficace per il franchise: la combinazione delle loro visioni ha consentito di sviluppare un approccio olistico, che non si limita a trasporre, ma a valorizzare e ampliare l’universo narrativo, permettendo di costruire ponti solidi tra diversi medium mantenendo l’integrità delle storie e dei personaggi. Nella serie, infatti, sono presenti diversi elementi che vanno oltre il semplice adattamento del videogioco, delineando piuttosto un’espansione strategica dell’universo narrativo del franchise. Uno di questi elementi si manifesta nelle prime fasi della serie televisiva, in cui viene introdotto un contesto inedito assente nel videogioco e che va a colmare uno dei grandi dubbi lasciati dal medium videoludico. Si tratta del racconto dello scoppio della pandemia, che rappresenta un chiaro esempio di come il franchise si sia evoluto in un prodotto transmediale di alta qualità: mostra l’abilità della serie televisiva nell’espandere e arricchire la trama e l’universo narrativo del gioco, offrendo un valore aggiunto agli appassionati della storia originale. Allo stesso tempo fornisce una spiegazione più chiara e dettagliata sull’origine e sulle cause del contagio, agevolando l’introduzione a questo mondo narrativo a coloro che si avvicinano per la prima volta al franchise, permettendo loro di immergersi appieno nella storia senza la necessità di conoscenze pregresse. Anche nel terzo episodio di The Last of Us, la serie dimostra di non essere una mera riproduzione del videogioco. Qui la prospettiva si sposta dai protagonisti a due personaggi che nel videogioco appartengono a sottotrame secondarie e attraverso dei flashback si scopre come siano cambiate le loro vite nei vent’anni dallo scoppio della pandemia, permettendoci di vedere come si sono innamorati e hanno vissuto le loro vite. Queste prospettive alternative consentono ai fan di vivere il mondo di The Last of Us da un punto di vista diverso, aggiungendo nuovi strati di complessità e profondità alla narrazione. Si tratta di espansioni dell’universo narrativo che mantengono intatti l’essenza dei personaggi e il coinvolgimento emotivo, adattandosi al nuovo medium in modo impeccabile.

 

2. Il rapporto tra videogioco e serialità televisiva nelle narrazioni distopiche

Il legame tra le serie televisive e i videogiochi sta vivendo una crescita significativa: sempre più spesso troviamo una convergenza tra il mondo delle produzioni televisive e cinematografiche e quello delle console per videogiochi. Ciò si traduce nell’espansione di prodotti che si spostano agilmente da un medium all’altro, dando vita a una sorta di interazione e integrazione tra questi due universi. Negli ultimi anni, infatti, si è verificata una crescente preferenza per le serie TV rispetto ai film, soprattutto nell’ambito delle narrazioni distopiche. Il formato seriale dimostra di essere particolarmente efficace e adatto alla narrazione degli universi videoludici, poiché consente di esplorare in dettaglio la trama, i personaggi e l’ambientazione garantendo un coinvolgimento più profondo del pubblico nel corso degli episodi. È interessante osservare che nel corso degli ultimi cinque anni, tutte le serie TV derivanti da videogiochi, sia già rilasciate che programmate, rientrano nel genere distopico. Questo cambio di tendenza è emerso grazie alla capacità di sviluppare in maniera più dettagliata le trame e i mondi distopici all’interno della struttura seriale. In effetti, le storie distopiche, spesso intricate, richiedono più tempo per sviluppare adeguatamente la tensione, i conflitti e le relazioni tra i personaggi. Le serie televisive, quindi, con la loro capacità di coinvolgere il pubblico in un lungo arco narrativo, permettono una presentazione graduale e un’evoluzione più approfondita delle tematiche distopiche. Ciò crea un legame più stretto tra gli spettatori e la storia, incoraggiandoli a seguire attentamente lo sviluppo dei personaggi e delle trame lungo diverse stagioni.

Gli sforzi cross-media più efficaci sono quelli che permettono a tutte le parti componenti di reggere da sole: piacevoli come singoli elementi mediatici, ma potenzialmente arricchiti quando si interagisce con un diverso medium. The Last of Us è un esempio quasi perfetto di questo principio in azione: si tratta probabilmente del primo videogioco adattato in un altro formato che rispetta al massimo il materiale originale. La sua forza sta nella capacità di essere apprezzato come singolo elemento mediatico, mantenendo un valore intrinseco in entrambi i formati, sia di videogioco che di serie TV. Al contempo, l’interazione tra i diversi medium si trasforma in un’opportunità per il pubblico di immergersi in un universo narrativo più ampio, dove, ad esempio, alcuni dettagli che potrebbero non essere stati trattati nel videogioco vengono approfonditi nella serie. Ogni versione di The Last of Us fornisce, quindi, un’esperienza completa: la serie TV non è semplicemente un duplicato o un adattamento diretto del videogioco, ma piuttosto una prospettiva complementare che aggiunge nuovi strati alla trama e ai personaggi, offrendo un’esperienza profonda per coloro che già conoscono il mondo del franchise.

Per quanto riguarda la distopia, in particolare il genere post-apocalittico, si rilevano vantaggi significativi per la costruzione di universi narrativi per franchising. Innanzitutto, fornisce un accesso a mondi fantastici flessibili ma coerenti, adatti a diverse storie e piattaforme senza compromettere l’integrità del contesto narrativo. Ha poi anche il vantaggio di essere, per natura, una “narrazione infinitamente sospesa” procedendo spesso in modo indefinito, senza una conclusione definitiva, fino a quando autori o pubblico decidono di concluderla. Questa caratteristica rende il formato seriale la scelta ideale per le narrazioni distopiche. Infine, un terzo aspetto che rende il genere particolarmente adatto alla narrazione transmediale è il coinvolgimento del pubblico come ricercatore attivo di informazioni, incoraggiando la partecipazione attraverso la mancanza di spiegazioni. Ciò motiva gli spettatori a cercare risposte e a contribuire attivamente alla costruzione del mondo narrativo.

Risulta ormai evidente come il panorama audiovisivo e videoludico contemporaneo si sia arricchito di molteplici visioni distopiche. Sargent afferma che il ventesimo secolo “è stato chiamato correttamente il secolo distopico” e la persistenza di diverse rappresentazioni distopiche all’inizio del ventunesimo secolo suggerisce che la tematica distopica probabilmente manterrà la sua radicata presenza nella cultura contemporanea ancora per un periodo prolungato.

 

3. Verso il futuro

Le strategie transmediali si delineano come la chiave per il futuro dell’intrattenimento, evidenziando la crescente necessità di una collaborazione sempre più stretta tra settori eterogenei dell’industria dei media. Il franchise The Last of Us rappresenta un esempio di questa sinergia, dove serie TV e videogioco si integrano in un’esperienza completa, fornendo prospettive complementari che arricchiscono la trama e i personaggi in uno scenario drammatico e distopico intriso di realismo e umanità.

Parallelamente, la crescente diffusione di racconti distopici all’interno della produzione audiovisiva seriale contemporanea rappresenta un fenomeno significativo che evidenzia sia la volontà delle serie TV di abbracciare sfide narrative più complesse e ambiziose, spingendosi oltre i confini delle storie convenzionali per esplorare mondi immaginari con tematiche distopiche, sia la straordinaria versatilità e pervasività del genere distopico nell’attuale panorama culturale. In effetti, l’interesse per le storie distopiche può essere attribuito anche al contesto sociale e culturale contemporaneo, in cui le tematiche riguardanti le sfide ambientali, il controllo e i conflitti sociali hanno suscitato grande interesse e riflessione. Queste narrazioni offrono uno specchio delle preoccupazioni e delle domande che caratterizzano il mondo attuale, spesso esplorando scenari estremi per mettere in discussione la realtà presente. La predisposizione alla narrazione seriale e l’interattività coinvolgente del pubblico come ricercatore attivo completano ulteriormente l’appeal transmediale della distopia, sottolineando il suo potenziale duraturo nel panorama dell’intrattenimento contemporaneo.

 

Keywords/tag: pandemia, post-apocalittico, franchise, strategia transmediale

 

Bibliografia

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