Università Cattolica del Sacro Cuore

Progetto YEP! (Young Educators Project)
Nell' emergenza un'opportunità

 

Nei momenti di emergenza e criticità, come quello che stiamo vivendo, sono sempre scaturiti moti di solidarietà, soluzioni innovative, spesso fino a poco prima impensabili o irrealizzabili. Così è accaduto e sta accadendo anche ora. Le nuove tecnologie, in tutte le loro forme, hanno tentato di sopperire alla distanza e all’isolamento sociale, il volontariato si è prodigato nel moltiplicare gli aiuti soprattutto alle persone più fragili, il personale dei servizi educativi e scolastici ha tessuto con perseveranza e tenacia una trama invisibile e forte di contatti e dialoghi con bambini, bambine, ragazzi, ragazze e genitori.
Videolezioni, collegamenti, conversazioni a distanza hanno tentato di tenere in vita quella comunità di famiglie e alunni/e di diverse età che fanno capo alla scuola dei vari ordini e gradi. Ma la situazione, lo sappiamo, è complicata: alcuni bambini, nonostante la scuola abbia fornito i supporti informatici, non sono in grado di usarli, alcuni genitori sono assorbiti da occupazioni, preoccupazioni, attività di accudimento e cura, e faticano a sostenere i più piccoli nei loro compiti. I contatti si sono rarefatti, diluiti nel tempo, abbreviati… alla lunga hanno perso significatività. Il rischio è che qualcuno resti indietro (e non tanto nel programma scolastico), che si perda.

Per camminare insieme, aiutandosi a tenersi tutti per mano, un gruppo di studentesse di Scienze della formazione di Piacenza si è messa al fianco di insegnanti, alunni e alunne di scuola primaria, partecipando alle lezioni per poi attivare collegamenti con gruppi ristretti di bambini, quelli che procedono più lentamente, che magari devono condividere il tablet con i fratelli o che forse sono semplicemente stanchi e demotivati.
Per combattere il rischio di chiusura ed esclusione è necessario superare le tradizionali forme di intervento, promuovendo sperimentazioni come questa e un nuovo modello di welfare e solidarietà, basato sulla cura e la relazione, capace di generare empowerment e rafforzare le nostre comunità devastate.
Per affrontare l’emergenza sociale che stiamo vivendo, occorre adottare approcci innovativi di cittadinanza, in grado di ristabilire i principi costituzionali di equità e giustizia, oltre – e non in contrapposizione – alle tradizionali politiche di aiuto. Dobbiamo essere capaci di alimentare un pensiero che si interroghi su come poter essere ancora creatori di diritti, senza lasciarci paralizzare dalla rassegnazione e dalla paura, dobbiamo essere capaci di promuovere reti di mutuo aiuto pur nel rispetto del distanziamento sociale, sentire la responsabilità di un atteggiamento proattivo a fondamento dell'agire sociale. L’impegno civile e politico si configura, così, come etica di cura estesa.
Il dono di sé, delle proprie risorse è il primo passo per produrre pratiche di condivisione, per contrastare l'incuranza e stabilire regole etiche per la futura convivenza sociale. Aver cura della dimensione comunitaria di un territorio significa occuparsi delle relazioni che lo connotano, promuovere il protagonismo dei cittadini, di tutti cittadini, a partire dai più piccoli, e dalle loro famiglie, concepire lo spazio urbano come spazio dinamico, che si costruisce, si struttura e si destruttura continuamente in rapporto ai cambiamenti che vi intervengono.
Affinché uno spazio possa essere significativo, accogliente, partecipato deve diventare teatro di esperienze con quelle stesse caratteristiche. La presenza in un contesto di pratiche di cura spesso ha l’effetto di produrre una generatività di altre pratiche che incrementano il livello di civiltà. Ed è questo l’auspicio che l’incontro e l’affidamento reciproco tra soggetti di generazioni e provenienze differenti custodisce e alimenta: quello di consentire un’esperienza di cittadinanza attiva e solidale destinata a lasciare un segno: una memoria, un insegnamento, e magari il desiderio di prosecuzione oltre questo tempo “ipotecato”. Perché non basta essere “prossimi” in una medesima condizione, occorre farsi prossimi, attivarsi, sentendosi interpellati dalla presenza dell’altro.

Elisabetta Musi

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